domenica 26 maggio 2013

Paola: trovato ordigno bellico sulla spiaggia



Durante i lavori di costruzione di un lido, questa mattina, sulla spiaggia del lungomare San Francesco, è stata notata la presenza di un oggetto che ha suscitato perplessità. Un ordigno bellico è emerso dalla spiaggia. Portato dai marosi degli ultimi giorni, si tratterebbe di una spoletta risalente alla seconda guerra mondiale.
Tra la sabbia, a circa 20 metri dalla riva, è stato trovato un ordigno lungo circa 20 centimetri e largo poco meno di 10.cm Sono stati allertati immediatamente i Carabinieri che a loro volta hanno interessato del caso gli artificieri.
L’area è stata interdetta alla cittadinanza per un raggio di circa 50 m, dopo un’attenta analisi, se dovesse essere necessario, si procederà a farla brillare.



lunedì 22 aprile 2013

Discorso del Presidente Napolitano

Signora Presidente, onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati delle Regioni,
lasciatemi innanzitutto esprimere - insieme con un omaggio che in me viene da molto lontano alle istituzioni che voi rappresentate - la gratitudine che vi debbo per avermi con così largo suffragio eletto Presidente della Repubblica. E' un segno di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova le mie forze : e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e tanti nuovi eletti in Parlamento, che appartengono a una generazione così distante, e non solo anagraficamente, dalla mia.
So che in tutto ciò si è riflesso qualcosa che mi tocca ancora più profondamente : e cioè la fiducia e l'affetto che ho visto in questi anni crescere verso di me e verso l'istituzione che rappresentavo tra grandi masse di cittadini, di italiani - uomini e donne di ogni età e di ogni regione - a cominciare da quanti ho incontrato nelle strade, nelle piazze, nei più diversi ambiti sociali e culturali, per rivivere insieme il farsi della nostra unità nazionale.
Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest'aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da Presidente della Repubblica.
Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l'autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del settennato, è "l'alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica". Avevo egualmente messo l'accento sull'esigenza di dare un segno di normalità e continuità istituzionale con una naturale successione nell'incarico di Capo dello Stato.
A queste ragioni e a quelle più strettamente personali, legate all'ovvio dato dell'età, se ne sono infine sovrapposte altre, rappresentatemi - dopo l'esito nullo di cinque votazioni in quest'aula di Montecitorio, in un clima sempre più teso - dagli esponenti di un ampio arco di forze parlamentari e dalla quasi totalità dei Presidenti delle Regioni. Ed è vero che questi mi sono apparsi particolarmente sensibili alle incognite che possono percepirsi al livello delle istituzioni locali, maggiormente vicine ai cittadini, benché ora alle prese con pesanti ombre di corruzione e di lassismo. Istituzioni che ascolto e rispetto, Signori delegati delle Regioni, in quanto portatrici di una visione non accentratrice dello Stato, già presente nel Risorgimento e da perseguire finalmente con serietà e coerenza.
E' emerso da tali incontri, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell'inconcludenza, nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell'elezione del Capo dello Stato. Di qui l'appello che ho ritenuto di non poter declinare - per quanto potesse costarmi l'accoglierlo - mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese.
La rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato - come si è significativamente notato - "schiusa una finestra per tempi eccezionali". Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima, ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato : senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l'Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più stringente.
Bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi : passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l'Italia.
E' a questa prova che non mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. Ne propongo una rapida sintesi, una sommaria rassegna. Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti - che si sono intrecciate con un'acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale - non si sono date soluzioni soddisfacenti : hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento.
Quel tanto di correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica è stato dunque facilmente ignorato o svalutato : e l'insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono. Attenzione : quest'ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell'amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme.
Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi giorni fa, il Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la raccomandazione della Corte Costituzionale a rivedere in particolare la norma relativa all'attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi.
La mancata revisione di quella legge ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell'abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti.
Non meno imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario.
Molto si potrebbe aggiungere, ma mi fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese.
Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana.
Parlando a Rimini a una grande assemblea di giovani nell'agosto 2011, volli rendere esplicito il filo ispiratore delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro Stato unitario : l'impegno a trasmettere piena coscienza di "quel che l'Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato", e delle "grandi riserve di risorse umane e morali, d'intelligenza e di lavoro di cui disponiamo". E aggiunsi di aver voluto così suscitare orgoglio e fiducia "perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l'Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con il suo bagaglio di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile."
Ecco, posso ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il linguaggio della verità - fuori di ogni banale distinzione e disputa tra pessimisti e ottimisti - sia per introdurre il discorso su un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte per l'avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile.
E' un discorso che - anche per ovvie ragioni di misura di questo mio messaggio - posso solo rinviare ai documenti dei due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo scorso. Documenti di cui non si può negare - se non per gusto di polemica intellettuale - la serietà e concretezza. Anche perché essi hanno alle spalle elaborazioni sistematiche non solo delle istituzioni in cui operano i componenti dei due gruppi, ma anche di altre istituzioni e associazioni qualificate. Se poi si ritiene che molte delle indicazioni contenute in quei testi fossero già acquisite, vuol dire che è tempo di passare, in sede politica, ai fatti; se si nota che, specie in materia istituzionale, sono state lasciate aperte diverse opzioni su varii temi, vuol dire che è tempo di fare delle scelte conclusive. E si può, naturalmente, andare anche oltre, se si vuole, con il contributo di tutti.
Vorrei solo formulare, a commento, due osservazioni. La prima riguarda la necessità che al perseguimento di obbiettivi essenziali di riforma dei canali di partecipazione democratica e dei partiti politici, e di riforma delle istituzioni rappresentative, dei rapporti tra Parlamento e governo, tra Stato e Regioni, si associ una forte attenzione per il rafforzamento e rinnovamento degli organi e dei poteri dello Stato. A questi sono stato molto vicino negli ultimi sette anni, e non occorre perciò che rinnovi oggi un formale omaggio, si tratti di forze armate o di forze dell'ordine, della magistratura o di quella Corte che è suprema garanzia di costituzionalità delle leggi. Occorre grande attenzione di fronte a esigenze di tutela della libertà e della sicurezza da nuove articolazioni criminali e da nuove pulsioni eversive, e anche di fronte a fenomeni di tensione e disordine nei rapporti tra diversi poteri dello Stato e diverse istituzioni costituzionalmente rilevanti.
Né si trascuri di reagire a disinformazioni e polemiche che colpiscono lo strumento militare, giustamente avviato a una seria riforma, ma sempre posto, nello spirito della Costituzione, a presidio della partecipazione italiana - anche col generoso sacrificio di non pochi nostri ragazzi - alle missioni di stabilizzazione e di pace della comunità internazionale.
La seconda osservazione riguarda il valore delle proposte ampiamente sviluppate nel documento da me già citato, per "affrontare la recessione e cogliere le opportunità" che ci si presentano, per "influire sulle prossime opzioni dell'Unione Europea", "per creare e sostenere il lavoro", "per potenziare l'istruzione e il capitale umano, per favorire la ricerca, l'innovazione e la crescita delle imprese".
Nel sottolineare questi ultimi punti, osservo che su di essi mi sono fortemente impegnato in ogni sede istituzionale e occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi sono nodi essenziali al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno a far progredire l'Europa unita, contribuendo a definirne e rispettarne i vincoli di sostenibilità finanziaria e stabilità monetaria, e insieme a rilanciarne il dinamismo e lo spirito di solidarietà, a coglierne al meglio gli insostituibili stimoli e benefici.
E sono anche i nodi - innanzitutto, di fronte a un angoscioso crescere della disoccupazione, quelli della creazione di lavoro e della qualità delle occasioni di lavoro - attorno a cui ruota la grande questione sociale che ormai si impone all'ordine del giorno in Italia e in Europa. E' la questione della prospettiva di futuro per un'intera generazione, è la questione di un'effettiva e piena valorizzazione delle risorse e delle energie femminili. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti disperati, a giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro emarginazione o subalternità.
Volere il cambiamento, ciascuno interpretando a suo modo i consensi espressi dagli elettori, dice poco e non porta lontano se non ci si misura su problemi come quelli che ho citato e che sono stati di recente puntualizzati in modo obbiettivo, in modo non partigiano. Misurarsi su quei problemi perché diventino programma di azione del governo che deve nascere e oggetti di deliberazione del Parlamento che sta avviando la sua attività. E perché diventino fulcro di nuovi comportamenti collettivi, da parte di forze - in primo luogo nel mondo del lavoro e dell'impresa - che "appaiono bloccate, impaurite, arroccate in difesa e a disagio di fronte all'innovazione che è invece il motore dello sviluppo". Occorre un'apertura nuova, un nuovo slancio nella società ; occorre un colpo di reni, nel Mezzogiorno stesso, per sollevare il Mezzogiorno da una spirale di arretramento e impoverimento.
Il Parlamento ha di recente deliberato addirittura all'unanimità il suo contributo su provvedimenti urgenti che al governo Monti ancora in carica toccava adottare, e che esso ha adottato, nel solco di uno sforzo di politica economico-finanziaria ed europea che meriterà certamente un giudizio più equanime, quanto più si allontanerà il clima dello scontro elettorale e si trarrà il bilancio del ruolo acquisito nel corso del 2012 in seno all'Unione europea.
Apprezzo l'impegno con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l'influenza che gli spetta : quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non può, d'altronde, reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo e ovunque i partiti.
La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all'aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c'è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all'imperativo costituzionale del "metodo democratico".
Le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione, debbono comunque dare ora - nella fase cruciale che l'Italia e l'Europa attraversano - il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del paese. Senza temere di convergere su delle soluzioni, dal momento che di recente nelle due Camere non si è temuto di votare all'unanimità. Sentendo voi tutti - onorevoli deputati e senatori - di far parte dell'istituzione parlamentare non come esponenti di una fazione ma come depositari della volontà popolare. C'è da lavorare concretamente, con pazienza e spirito costruttivo, spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all'età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica.
Lavorare in Parlamento sui problemi scottanti del paese non è possibile se non nel confronto con un governo come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia dell'opposizione. A 56 giorni dalle elezioni del 24-25 febbraio - dopo che ci si è dovuti dedicare all'elezione del Capo dello Stato - si deve senza indugio procedere alla formazione dell'Esecutivo. Non corriamo dietro alle formule o alle definizioni di cui si chiacchiera. Al Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non quella voluta dall'art. 94 della Costituzione : un governo che abbia la fiducia delle due Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la prospettiva temporale che riterrà opportune.
E la condizione è dunque una sola : fare i conti con la realtà delle forze in campo nel Parlamento da poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e quali siano le esigenze e l'interesse generale del paese. Sulla base dei risultati elettorali - di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no - non c'è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale.
D'altronde, non c'è oggi in Europa nessun paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo partito - nemmeno più il Regno Unito - operando dovunque governi formati o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente concorrenti.
Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione - fino allo smarrimento dell'idea stessa di convivenza civile - come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.
Lo dicevo già sette anni fa in quest'aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse finalmente vicino "il tempo della maturità per la democrazia dell'alternanza" : che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la necessità. Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell'ingovernabilità, almeno nella legislatura appena iniziata.
Ma non è per prendere atto di questo che ho accolto l'invito a prestare di nuovo giuramento come Presidente della Repubblica. L'ho accolto anche perché l'Italia si desse nei prossimi giorni il governo di cui ha bisogno. E farò a tal fine ciò che mi compete : non andando oltre i limiti del mio ruolo costituzionale, fungendo tutt'al più, per usare un'espressione di scuola, "da fattore di coagulazione". Ma tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità : era questa la posta implicita dell'appello rivoltomi due giorni or sono.
Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione "salvifica" delle mie funzioni ; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce. E lo farò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno. Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata ; inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore, con umiltà. Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio.
Viva il Parlamento! Viva la Repubblica! Viva l'Italia!

lunedì 4 febbraio 2013

Domanda rimborso IMU

ecco il Fac Simile


COMUNE DI ______________ 

AL SERVIZIO TRIBUTI UFFICIO ICI 


OGGETTO: Richiesta RIMBORSO Il rimborso è dovuto se l'imposta IMU complessiva (quota Comune + quota Stato) è superiore ad euro 12,00

 Il sottoscritto/Ditta __________________nato a ______________il ___________________ residente/sede a ____________________Via _______________________________ n.____________ C.F./ P. Iva :__________________________________ Tel n.__________________________________ e per esso/ legale rappresentante: _____________________________________ Codice Fiscale___________________________________________ nato a _______________________il ______________e residente a_____________________________ Via ________________________________________________n. _____ Tel ___________________ CHIEDE in considerazione della incostituzionalità dell'IMU, per violazione degli articoli 3, 47 e 53 della Costituzione, • il rimborso delle seguenti somme pagate a titolo di IMU: 
Anno.................. , anno.................., anno ......................Anno ............................, anno ..........................; 

Le ragioni della incostituzionalità si possono sintetizzare come segue. L'IMU e' una imposta incostituzionale per effetto del meccanismo applicativo con cui e' stata congegnata ed imposta dal Decreto Legge n.201/2011. In particolare, i vizi costituzionali dell'IMU hanno origine e derivazione dalla scelta di sviluppo della sua base imponibile, identificata in valori immobiliari che sono stati rivalutati di colpo e di imperio, in forma lineare, senza alcun collegamento con i valori economici reali sottostanti ed in più senza flessibilità nella previsione di criteri correttivi successivi. Criteri di flessibilità che sono invece assolutamente necessari, dato che l'IMU e ' una imposta patrimoniale permanente. E' così che, nella meccanica dell'IMU, l'errore iniziale di elevazione verticale della base imponibile si moltiplica e si amplifica irrazionalmente con il progredire della crisi. I valori immobiliari possono scendere o precipitare (ed in realtà stanno davvero scendendo o precipitando), ma il debito di imposta resta sempre uguale. Con effetti perversi di dissociazione dell'IMU dai principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza tra i cittadini. In specie, a parità' di presupposto di imposta – ad esempio uno stesso tipo di casa - ci sarà chi la può conservare perché ha altri redditi sufficienti redditi per pagare l’IMU. Ci sarà invece chi e' costretto a venderla - la sua casa - perché non ha altri redditi con cui pagare l'IMU. E’ questo un assurdo ulteriormente incostituzionale perché da una parte la Costituzione favorisce l'accesso alla "proprietà dell'abitazione" e "tutela il risparmio", dall'altra parte l'IMU va in direzione radicalmente opposta: non favorisce l’accesso ma il decesso della proprietà dell’abitazione, non tutela ma attenta alla base stessa del risparmio. 
Allega i seguenti documenti: • fotocopia bollettini di pagamento 
Firma ____________________

mercoledì 16 gennaio 2013

I nostri “politicanti” parlano del Sud!

E parlano del Sud. Ma dove sono i veri “meridionalisti” o i politici che amano seriamente queste terre. Molti governanti specialmente in periodi come questi, sotto elezione, si incamminano per questi mondi, lontani e fuori tempo, promettendo di tutto, con bugie lunghe secoli. Inutile elencarne la lista. Disincantato e perplesso mi chiedo: per noi del sud, la Calabria è in Italia. Personalmente penso di no! Chiedo a chi ha retto le istituzioni politiche negli ultimi trenta, quarant’anni, per rimanere nell’orizzonte temporale tangibile; ma veramente pensate e siete convinti che la Calabria si trovi in Italia, quindi in Europa? Permettetemi di esprimere delle perplessità. L’attuale territorio, emarginato e misero, è all’ultimo posto negli elenchi nazionali e stranieri, per i tanti segnalatori economici, per criminalità e delinquenza organizzata, per scarsi servizi, per vivibilità in genere e per una disoccupazione imperante. Lor signori, si riempiono la bocca, quando parlano di ambiente e bellezze naturali, di clima e tramonti, di arte e cultura, folklore e gastronomia. Tutto meraviglioso e suadente, ma non basta ahimè. E qui scatta la rabbia. Da sole, queste particolarità, questi miracoli della natura, non soddisfano la condizione per intercettare attività turistica e portare ricchezza. Ed allora l’uomo, questi uomini che hanno retto le sorti delle nostre terre lontane e sfortunate , cosa hanno messo di loro, cosa hanno fatto per evitare una politica che ha saccheggiato un territorio. Cosa si è costruito per sfuggire ad un sistema corrotto e guasto solo fine a se stesso, quindi inutile. E a gran voce si chiede. Dove sono le infrastrutture, gli aeroporti le metropolitane. Dove sono le industrie e le aziende. Dove cercare per trovare lavoro e certezze. Dove sono gli eventi, i concerti, le manifestazioni, le biennali per far conoscere l’arte e gli uomini, per attirare folle ed opportunità come nel nord. Dove sono le opere, che segnano il tempo e rendono più gradevole la vacanza e l’habitat Dove trovare gli impulsi, gli stimoli, gli incentivi visibili e godibili da tutti. Dove trovare le strutture d’eccellenza medica, qui da noi, per sentirsi sicuri d’essere curati e protetti in casa propria e non malati in cerca di cure in parti d’Italia dove ti considerano nemico. Cosa si è fatto, dalla parte politica, per evitare di farti sentirti male, quando qualcuno indica la tua terra come una cosa maledetta e pericolosa, da scansare come una brutta patologia. Niente di niente. Nessuna risposta a niente. Il più assoluto silenzio, giorno dopo giorno, anni dopo anni. Rompono la monotonia, ogni cinque anni, soltanto gli applausi modulati e avvinti di calabresi sprovveduti o interessati che inneggiando i loro soliti beniamini, decidono e stabiliscono che nulla cambi.

domenica 13 gennaio 2013

Votare? Non abbiamo scampo: ha già deciso tutto Bruxelles

Sembra «la boutade di un fesso, tanto è scioccante», ammette Barnard nel suo blog, ma insiste: il suo lavoro di ricerca, suffragato da documentazioni e testimonianze, comprova che la democrazia è stata ormai completamente svuotata. Si invoca, giustamente, la Costituzione italiana? Peccato che la stessa Carta costituzionale non abbia più un vero valore sovrano, «essendo stata sottomessa alla legge europea fin dal 1991», e il Trattato di Lisbona stabilisce che la Costituzione europea si pone al di sopra delle Costituzioni nazionali, delegando alla Corte Europea di Giustizia la risoluzione dei conflitti. «La legge europea, redatta unicamente dalla Commissione Europea di tecnocrati che nessuno elegge – continua Barnard – ha supremazia su ogni legge nazionale italiana. Ne consegue che il Parlamento nazionale è esautorato nella sovranità». Il ruolo subordinato dei Parlamenti nazionali nella nuova Europa significa che “essi dovranno fare gli interessi dell’Unione prima che i propri”, come sancito dai trattati. «Il governo italiano non ha più alcuna sovranità nelle politiche economiche, di bilancio e sociali», aggiunge Barnard. «Questo significa aver perso il 99,9% del potere di un governo». Ciò accade a causa dei trattati europei che l’Italia ha firmato e ratificato, trasformandoli in legge nazionale, fino a costringere governo e Parlamento a vincoli rigidissimi: a cominciare dalla spesa pubblica, ormai insignificante (non oltre il 3% del Pil), che dovrà scendere allo 0,5% del prodotto interno lordo. «Il pareggio di bilancio – continua Barnard – va inserito nella Costituzione, come sancito dal Fiscal Compact». Tradotto: «Significa che il governo deve spendere 100 e tassarci 100, lasciando a noi cittadini e imprese esattamente 0 denaro». Unica nostra alternativa: «Erodere i risparmi o indebitarci con le banche». Questo, conclude Barnard, è precisamente l’impoverimento automatico che oggi chiamiamo “la crisi”. «L’Italia ha ubbidito e ha messo in Costituzione il pareggio di bilancio, ma ora sapete che non è stata affatto una scelta parlamentare per il bene del Paese, ma una costrizione esterna dettata dalla minaccia di sanzioni europee». D’ora in poi, il governo dovrà quindi «sottomettere la legge di bilancio alla Commissione Europea prima che al Parlamento, e solo dopo l’approvazione di Bruxelles potrà interpellare i deputati». Attenzione: «Se il governo sgarra, potrà essere multato di miliardi di euro». Di fatto, il governo italiano concede alla Commissione Europea il potere di intervenire sulle politiche nazionali del lavoro, sulla tassazione, sul welfare, sui servizi essenziali e sui redditi per imporre tagli e maggiori tasse (imporre, non suggerire). La competitività italiana sarà giudicata da Bruxelles in rapporto al contenimento degli stipendi e all’aumento della produttività: «Gli stipendi pubblici devono essere tenuti sotto controllo per non danneggiare la competitività», e la sostenibilità del debito nazionale «viene giudicata a seconda della presunta generosità di spesa» nei settori chiave: sanità, welfare e ammortizzatori sociali. Idem le pensioni e gli esborsi sociali: devono essere riformati «allineando il sistema pensionistico alla situazione demografica nazionale, per esempio allineando l’età pensionistica con l’aspettativa di vita». E non è tutto. L’Italia, Stato dell’Eurozona, dovrà chiedere l’approvazione alla Commissione Europea e al Consiglio Europeo prima di emettere i propri titoli di Stato. «Anche qui, la funzione primaria di autonomia di spesa dello Stato sovrano è cancellata», grazie al Fiscal Compact. Inoltre, se l’Italia dovrà chiedere un aiuto finanziario al Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, sarà obbligata a sottoscrivere, in accordo con la Commissione Europea, col Fmi e con la Bce, un Memorandum dove si vincola a obbedire a tutto ciò che Mes e Fmi le imporranno, nonché a tutti i trattati coi loro vincoli, a tutte le condizioni del prestito, persino a critiche e “suggerimenti”. Il Parlamento italiano, quello che gli elettori sono chiamati a rinnovare a febbraio, «non ha alcuna voce in capitolo neppure qui». Infine, Mario Draghi: per statuto, il governatore della Bce ha il potere di «ricattare qualsiasi banca italiana» attraverso le prerogative della Struttura di Controllo del Rischio, «e anche qui il governo italiano è impotente». Avendo perduto con l’ingresso nell’Eurozona la sua moneta sovrana, l’Italia dipende dai mercati di capitali internazionali per ricevere ogni centesimo di euro che spende per la vita dello Stato, «per cui è da essi ricattabile al 100%». In altre parole: «Il governo, il Parlamento, i cittadini, la Costituzione sono alla mercé dei mercati, interamente». Le elezioni? «Voterete dei morti, impotenti, inutili, senza alcun reale potere», si sfoga Barnard. «Dobbiamo urlare alla politica che noi sappiamo tutto questo, e che loro devono promettere all’elettorato di portarci fuori da questo orrore europeo con un voto di orgoglio e di salvezza nazionale».
Tratto da: Votare? Non abbiamo scampo: ha già deciso tutto Bruxelles | Informare per Resistere - Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!